Il Novecento – Edward Hopper

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IL NOVECENTO
Un nuovo post in collaborazione con St-ART che ci porta alla scoperta di Edward Hopper, uno dei grandi artisti americani del primo Novecento e approfondisce la lettura di uno dei suoi più noti capolavori.

Edward Hopper (1882 – 1967) “Nighthawks/Nottambuli” (1942) – Oil on canvas, 76.2 x 152.4 cm, Art Institute, Chicago

Hopper
Se dovessi definire con un’immagine i quadri di Hopper, non esiterei a paragonarli a dei moderni cavalli di Troia che, sotto innocue e mentite spoglie, all’apparenza rassicuranti, recano in dono un’insanabile ferita alla promessa evocata del sogno americano.
Infatti, dietro un linguaggio figurativo estremo, che valse all’artista la nomea di precisionismo, caratterizzato da un’immediatezza narrativa e da una normale quotidianità, sia che vengano rappresentati con sottile meticolosità paesaggi rurali o scorci urbani, popolati da oggetti banali, si cela una dimensione metafisica, simile a quella che attraversa le tele di Moranti, Carrà o De Chirico, privata però di qualunque richiamo e rimando classicheggiante.
Se i diversi soggiorni parigini dell’artista americano gli fecero assorbire l’influenza della pittura francese, in particolare di Degas per quanto riguarda le direttrici e le diagonali con cui creare prospettive ed angolazioni insoliti, impiegate a dare forma ai soggetti, e gli offrirono l’occasione per studiare ed approfondire i rapporti tra luce e architettura che dominano costantemente le sue opere, memore della lezione freudiana, di cui era un assiduo lettore, Hopper ricerca nei propri quadri non tanto di rappresentare la realtà americana dei suoi anni quanto la definizione di se stesso.
Per questo i suoi dipinti evocano atmosfere sospese ed irreali, in cui vere protagoniste sono la solitudine e l’incomunicabilità che regna tra i personaggi, vicini eppure mai realmente impegnati in una relazione.
Come nel suo quadro più celebre: “Nightawks”. Dove le quattro figure umane, colpite dalla luce fredda e quasi irreale che piove dall’interno del locale, paiono distanti ed impassibili, ciascuna calata nei propri pensieri, materia umana immersa nei contrasti netti di luce ed ombra.
Lo spazio, costruito con una matematica linearità della prospettiva, di matrice quattrocentesca, appare ugualmente modernissimo e la vetrina del bar tende a duplicarsi nelle dimensioni fortemente orizzontali del quadro, tanto da indurre lo spettatore a riflettersi e specchiarsi nella scena che si consuma sotto il suo sguardo, dove il gesto e l’azione rimangono come intrappolati e immobili.

(Chiara)

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