Artisti e Instagram: geni creativi o schiavi dell’algoritmo?

21/05/2025
Autore: Caterina Stringhetta

Un tempo, per essere riconosciuto come artista, era necessario esporre in una galleria prestigiosa, entrare nelle collezioni di un museo o, almeno, avere un critico d’arte che scrivesse con entusiasmo e parole complicate delle opere e del loro significato. Oggi invece basta un profilo Instagram ben curato, qualche reel virale e un hashtag azzeccato per conquistare migliaia di follower.

Sembra che l’arte abbia trovato il suo nuovo tempio digitale, o forse stiamo riducendo la creatività a un’eterna ricerca di like. Insomma, un artista che non è su Instagram… esiste davvero?

ARTISTI E INSTAGRAM

Anna Marra | mostre galleria

Embodying: Flesh, Fiber, Features. Brie Ruais, Martha Tuttle, Letha Wilson, a cura di Serena Trizzino. Veduta della mostra presso Galleria Anna Marra, set – ott 2019. Foto di Simon d’Exéa

Artisti o content creator? Il rischio dell’arte usa e getta

Instagram ha rivoluzionato il modo in cui gli artisti mostrano il loro lavoro.
Sembra che sia addirittura il social media più usato dagli artisti perchè possiede le caratteristiche di una galleria gratuita e accessibile, con una vetrina planetaria che può trasformare uno sconosciuto in un fenomeno virale nel giro di una notte.
Artisti emergenti che un tempo avrebbero dovuto lottare per una mostra in uno spazio indipendente oggi possono raggiungere migliaia di persone con un semplice post.

Eppure, c’è un lato oscuro.
Il pericolo è che gli artisti diventino più “content creator” che artisti. Il feed infatti impone ritmi frenetici, il pubblico vuole immagini accattivanti, e l’algoritmo premia chi pubblica con costanza.

Il risultato? Opere pensate per essere “instagrammabili” piuttosto che essere opere in grado di lasciare un segno profondo nella società di oggi.

Così l’arte rischia di diventare effimera, ottimizzata per un pubblico distratto che scorre velocemente, tra un meme e la foto di un paesaggio esotico. Per questo motivo è importante saper usare i social se sei un artista. Per evitare errori e perdere tempo inutilmente.

L’algoritmo è il nuovo critico d’arte?

Un tempo il successo di un artista dipendeva dall’opinione dei critici, dai collezionisti e dai galleristi. Oggi, il vero curatore delle nostre vite artistiche si chiama algoritmo.

Il meccanismo è semplice: più un post riceve like, commenti e condivisioni, più viene mostrato ad altre persone. Questo crea un circolo vizioso in cui chi ha già visibilità diventa ancora più visibile, mentre chi non riesce a catturare l’attenzione nei primi minuti finisce nel dimenticatoio digitale.

Tuttavia il problema è ancora più profondo.
Per farsi notare, molti artisti si sentono obbligati a creare opere che “funzionano” su Instagram, sacrificando ricerca, sperimentazione e profondità concettuale in favore di immagini semplici, immediate e virali.
Il rischio? Che l’arte diventi un prodotto confezionato per il consumo rapido, privo di quel senso di mistero e riflessione che da sempre la rende così potente.

Musei e gallerie: sopravvivere all’era social

Se per gli artisti Instagram è una risorsa ambigua, per i musei e le gallerie la sfida è ancora più complessa.
Da un lato, i social sono strumenti straordinari per avvicinare il pubblico e rendere l’arte più accessibile. Basti pensare ad esempio ai musei che comunicano bene con i social e a ciò che hanno realizzato negli ultimi anni. Dall’altro, il rischio è di trasformare i musei in scenografie perfette per i selfie, sacrificando contenuti e qualità delle mostre in favore dell’engagement digitale.

Quante volte abbiamo visto visitatori più interessati a scattare la “foto perfetta” davanti a un’opera piuttosto che osservarla davvero? Quanti musei stanno investendo più su installazioni interattive e filtri Instagram che su progetti espositivi innovativi?

La sfida è chiara: sfruttare il potenziale dei social senza perdere di vista la missione principale della cultura.
Ecco che diventa fondamentale ad esempio saper coinvolgere il pubblico di una galleria d’arte sui social, per dominare il processo di promozione di un artista in modo consapevole sin dall’inizio, ma anche per capire se la galleria a cui un artista si affida è capace di offrire un supporto a tutto tondo.

Un futuro dell’arte senza social è possibile?

Alcuni artisti hanno scelto di dire “no” a Instagram.
Preferiscono lavorare in modo più tradizionale, costruire il proprio pubblico attraverso gallerie, fiere d’arte e passaparola. E incredibilmente… ci riescono.

Questo dimostra che esistono ancora alternative al sistema social-centrico.
Spazi espositivi indipendenti, mostre temporanee, performance dal vivo e piattaforme digitali autonome stanno offrendo agli artisti nuovi modi per connettersi con il pubblico senza dover sottostare alle logiche degli algoritmi.

La domanda è: siamo ancora capaci di apprezzare l’arte senza uno schermo tra noi e l’opera?

Claudio Parmiggiani

Claudio Parmiggiani: Senza titolo, 2014, campana di bronzo e corda. Courtesy Galleria Poggiali, Firenze.

Instagram non è il nemico, ma uno strumento potente e come ogni strumento va usato con intelligenza.
Il vero problema nasce quando diventa l’unico metro di giudizio per valutare il successo di un artista.

Forse la sfida più grande per l’arte contemporanea è proprio questa.
Trovare un equilibrio tra la visibilità digitale e la profondità del messaggio. Usare i social senza diventarne schiavi, creare contenuti senza sacrificare la ricerca, essere presenti online senza dimenticare che l’arte, quella vera, ha bisogno di tempo per essere compresa e amata.

E tu, cosa ne pensi? L’arte può esistere fuori da Instagram? O siamo destinati a misurare la creatività in numero di like?

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