Musei presi d’assalto: cosa succede dopo la pandemia? Riflessioni sull’overtourism culturale
Ti è mai capitato di entrare in un museo e sentirti più in coda che in contemplazione?
Succede sempre più spesso, soprattutto oggi, a pandemia finita. In un curioso paradosso, i luoghi dell’arte che durante il Covid erano stati deserti e silenziosi, oggi sono tornati a traboccare… forse troppo. File interminabili, biglietti introvabili, stanze affollate come vagoni della metro: è la nuova normalità dei grandi musei, presi d’assalto da un turismo di massa che, anziché celebrare la cultura, rischia di svuotarla di senso.
In questo articolo voglio condividere una riflessione su cosa significa davvero questa invasione post-pandemica nei musei, quali sono le sue conseguenze per la fruizione dell’arte e quali alternative possiamo immaginare per vivere l’esperienza culturale in modo autentico e rispettoso.
Dal silenzio al caos: com’è cambiata l’esperienza museale dopo il Covid
Durante la pandemia, musei e gallerie d’arte hanno attraversato un tempo sospeso.
Le sale erano vuote, i visitatori a zero, ma la riflessione era fertile: si parlava di ripensare la cultura, di renderla più accessibile, digitale, inclusiva. Oggi, invece, si assiste a una corsa alla “normalità”, che ha un retrogusto amaro: il ritorno è stato esplosivo, ma disordinato.
Nel 2024 i numeri hanno superato perfino quelli del 2019. A Firenze, Venezia, Roma e Milano si registrano picchi impressionanti. Alcuni musei esauriscono i biglietti con mesi d’anticipo, altri devono contingentare gli accessi, ma l’effetto resta lo stesso: troppa gente, troppa fretta, troppe foto e poca attenzione.
L’overtourism culturale: quando l’arte si trasforma in performance
Il fenomeno ha un nome: overtourism culturale.
L’arte non si contempla più, si consuma.
Si fa la fila per vedere un’opera famosa, la si fotografa in pochi secondi e via, si passa alla successiva.
Il museo diventa un circuito a tappe, quasi un dovere da spuntare nella lista delle vacanze.
Cosa resta davvero alla fine di quel tour? Un’immagine sfocata della Gioconda tra due teste, un Tiziano visto a zig zag tra le spalle altrui, un Canaletto osservato in apnea. Eppure questi capolavori sono fatti per parlarci, per rapirci e non per essere scrollati come stories.
I musei in trincea: gestire l’affluenza e difendere la qualità
I direttori dei musei, e tutti coloro che si occupano della tutela delle collezioni d’arte, si trovano oggi davanti a un bivio complesso: da un lato la necessità di incassare, dopo anni durissimi; dall’altro la difesa del valore educativo e contemplativo dell’arte. Alcuni musei stanno cercando soluzioni: aperture serali, turni a numero chiuso, esperienze più lente e guidate.
Tuttavia serve una riflessione collettiva: l’arte non è un evento da “fare”, è un incontro e come ogni incontro, ha bisogno di tempo, silenzio, spazio.
Cosa possiamo fare noi, amanti dell’arte
La buona notizia è che non siamo spettatori passivi. Possiamo scegliere quando andare, magari evitando le ore e i giorni di punta. Possiamo privilegiare i musei meno noti, gli spazi più intimi, le mostre temporanee.
Hai mai pensato, ad esempio, di esplorare Venezia oltre San Marco? Ti consiglio di leggere:
- La Pala Pesaro di Tiziano: un capolavoro del Rinascimento a Venezia
- Tiziano a Venezia: itinerario di due giorni a Venezia per scoprire i capolavori di un artista unico.
Scoprirai che l’arte non vive solo nei “grandi nomi”. Anzi, spesso la meraviglia si nasconde proprio dove gli altri non guardano.
La cultura ha bisogno di cura, non di selfie
La pandemia ci ha insegnato che i musei non sono eterni. Possono chiudere, come 👉 è accaduto a Milano con Wow Spazio Fumetto. Possono essere dimenticati, trascurati. Oppure – ed è l’alternativa che dobbiamo costruire – possono diventare luoghi vivi, rispettati, amati.
Non serve correre per “vedere tutto”. Serve fermarsi a guardare davvero e magari uscire con una domanda, non solo con una foto.
Tu come vivi i musei oggi? Hai vissuto anche tu il passaggio dal silenzio alla folla?
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