Nelle opere di Mauro Patta: murales, identità e memoria sarda – STUDI D’ARTISTA
Dopo il nostro viaggio tra le opere in legno di Martalar sulle montagne del Nord Italia leggi qui l’intervista, torniamo verso Sud per incontrare un altro artista profondamente legato alla sua terra: Mauro Patta.
Siamo in Sardegna, quella più autentica, lontana dalle cartoline e vicina alla verità. Mauro ci accoglie a Sorgono, nel cuore dell’isola, dove crea murales monumentali che raccontano il passato, il presente e l’anima del territorio.
Le sue opere sono donne, sono natura, sono bellezza e resistenza.
Entra con noi nel suo studio e nella sua visione del mondo.

STUDI D’ARTISTA
Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei
a cura di Laura Cappellazzo
La Sardegna è una regione tanto complessa quanto poco conosciuta, tanto trascurata, quanto ricca di tradizioni, saperi e storia. Molti lasciano la Sardegna, in cerca di lavoro, fortuna, occasioni di vita in altri luoghi, magari nel “continente”. Eppure molti altri la cercano come meta di svago, affascinati da un qualcosa di puro, di selvaggio che rimane anche nelle zone più addomesticate al turismo. Un andirivieni continuo di persone, navi ed arei, interessa la Sardegna che se ne sta lì, ferma in mezzo al mare, a guardare questi viaggi migratori umani, con il sorriso saggio di chi sa che tanto affanno, in fondo, non serve a nulla.
Mauro Patta ha vissuto personalmente questo viaggio di ricerca. È nato ad Atzara, un piccolissimo comune italiano di 970 abitanti della provincia di Nuoro e vive attualmente a Sorgono, che di abitanti ne conta poco più di 1400, proprio nel centro esatto della regione. Eppure tra i cinque chilometri che separano questi due paesini, ci stanno Firenze, la Russia, la Sicilia e la ricerca di un senso che mauro ha trovato e ha riportato con sé, nella sua terra d’origine.
NELLO STUDIO DI MAURO PATTA
Mauro, grazie per averci dato la possibilità di incontrarla e di farla conoscere un po’ di più ai nostri lettori. Cominciamo da qui, da Sorgono: perché un artista conosciuto a livello internazionale a tra i più apprezzati al mondo, sceglie di vivere in un piccolo paesino letteralmente lontano da tutto?
Innanzitutto grazie a lei, Laura, per l’interesse verso la mia arte.
Quando abbiamo deciso di tornare a vivere in Sardegna, non avevamo dubbi: volevamo rientrare nel cuore dell’isola, nel Mandrolisai. Sono cresciuto qui, mi sento a casa, è il mio luogo di ricarica.
Un altro fattore non indifferente è che mi sposto moltissimo per lavoro, incontro tante persone nuove e quando stacco da un progetto all’altro torno nelle nostre colline a riposare. Qui la vita scorre lenta, la natura è ovunque, e tutto questo per me è profondamente rigenerante.
Nelle sue interviste racconta di aver iniziato l’arte dei murales nel 2014, e di essersi inserito in una tradizione artistica molto sentita in Sardegna. Ce lo può spiegare? Generalmente infatti si pensa che la street artist sia qualcosa di “moderno” … che ha a che fare con le metropoli.
In quel caso mi riferivo all’arte del muralismo, che in Sardegna è cominciata nel 1967 con Pinuccio Sciola a San Sperate. Subito dopo è arrivato il fenomeno di Orgosolo, dove l’arte ha assunto una connotazione politica, dando voce alla resistenza e alla lotta di classe.
Da allora i murales in Sardegna non si sono mai fermati, anche se col tempo hanno assunto un significato più nostalgico, legato a una vita agro-pastorale che ormai non c’è più. Mi sono inserito in quel contesto quando ho iniziato a dipingere i muri.
Come si è formato? Ha avuto dei maestri?
Ho sempre disegnato, fin da quando ero piccolo. Non ho avuto la possibilità di frequentare scuole d’arte per bambini, ma ho avuto dei grandi esempi. Per chi non lo sapesse, sono cresciuto ad Atzara, un piccolo paese che, pur nelle sue dimensioni, ha avuto legami profondi con l’arte. All’inizio del ‘900 è stato frequentato dai pittori costumbristi come Antonio Ortiz Echagüe ed Eduardo Chicharro, e più tardi da Filippo Figari. Inoltre, Atzara è il paese natale di Antonio Corriga, importante pittore della scena sarda nel ventesimo secolo. Credo che tutto questo mi abbia stimolato a proseguire. Successivamente ho frequentato il Liceo Artistico di Cagliari, poi ho interrotto gli studi per lavorare. A venticinque anni mi sono reso conto di essermi allontanato dall’arte, e in quel momento ho deciso che se non avessi ripreso allora, probabilmente non l’avrei fatto più. Così mi sono iscritto all’Accademia di Belle Arti di Firenze.
I suoi murales sono raffinati da un punto di vista artistico, le figure umane spesso sono sovrapposte a decorazioni che non sono di minor importanza rispetto al soggetto: a volte sembrano dei veri e propri tessuti, altre sono elementi naturali. Può parlarci di questo?
Ho trovato un mio linguaggio visivo abbinando la parte realistica a quella decorativa. Credo che questo derivi in parte dalla mia esperienza di quattro anni come pittore di porcellana alla manifattura Richard Ginori di Sesto Fiorentino, e in parte dall’ispirazione che traggo dalla cultura sarda, che offre tantissimo materiale da reinterpretare.
Da dove le arriva questa attenzione ai dettagli, considerando che sono opere di diverse metri quadri?
Certo, la grandezza dell’opera è un fattore significativo quando si studia la composizione, ma per me è importante che l’opera funzioni nel suo insieme. Ogni dettaglio ha una sua funzione: può parlare del tema, oppure può essere un modo per dare una chiave di lettura più romantica o di orgoglio per esempio. L’importante è che, nell’insieme, si raggiunga un’armonia.
C’è una sua opera enorme, 400 metri quadri, di una bellezza impressionante che si intitola “L’ora del tè” e si trova a Balashikha, vicino a Mosca. Come mai la Russia? Ce lo vuole raccontare?
Amo dipingere in Sardegna e raccontare la sua storia, e questo mi occupa molto tempo, ma non significa che non sia aperto a esperienze altrove. In quell’occasione sono stato invitato dal festival di Street Art “Urban Morphogenesis” a partecipare e per coincidenza avevo un periodo libero, così ho deciso di partire.
I festival di street art sono eventi molto interessanti, non solo perché si va in un posto nuovo a dipingere, ma anche perché si incontrano persone da tutto il mondo che fanno lo stesso mestiere. Si scambiano parole, nascono amicizie. È un’esperienza che va vissuta.

A noi piacciono molto le storie che stanno dietro le opere. Lei ha affermato che “Dietro ad ognuno dei suoi murales c’è una donna che mi ha ispirato”. Chi sono le sue muse?
È vero, molto spesso cerco l’aspetto femminile attraverso le mie opere. Lo faccio spontaneamente, da sempre. Poi dipende dal tema: può essere una donna in costume, per raccontare la fierezza di un luogo, oppure la voce femminile della natura che ci circonda.
Ora una domanda più tecnica: come si fa a disegnare su metri quadrati di parete? Ossia, come nasce un’opera di questo tipo?
Il lavoro nasce da una bozza studiata sulle proporzioni del muro, una fase molto impegnativa e spesso sottovalutata. Solo dopo aver raggiunto un risultato soddisfacente si può passare alla pittura, naturalmente su una superficie già preparata.
Per affrontare la grandezza del muro uso la tecnica del grigliato, la più antica. La bozza, creata in precedenza, viene riportata in scala: prima abbozzo il disegno e poi inizio la parte pittorica.
Quindi c’è del lavoro che viene prima delle impalcature, delle vernici e del disegno all’aperto. La nostra rubrica si intitola “studi d’artista”, può descriverci il suo studio? Uno studio racconta molto del suo artista…
Ho uno studio dove dipingo e dove tengo tutto il materiale del mio lavoro. A casa, invece, ho uno spazio adibito allo studio, una sorta di ufficio dove mi dedico anche alla creazione dei bozzetti. Sinceramente è un po’ caotico: pieno di appunti scritti su fogli sparsi, scarabocchi, promemoria. Ogni tanto provo a riordinare, ma il caos torna sempre.
Cosa significa per lei, fare arte oggi?
In sostanza credo che, oggi come ieri, l’arte non sia altro che un modo di esprimersi. L’importante è che questo modo sia sincero. Viviamo però in un periodo in cui l’arte può arrivare direttamente al pubblico, senza intermediari come accadeva in passato. Questo è stato possibile grazie ai social e a Internet in generale. Nel muralismo, forse, questa peculiarità è ancora più evidente perché non si tratta di opere da galleria, ma di spazi urbani, vissuti quotidianamente.
Solitamente finiamo le nostre interviste chiedendo al nostro ospite di indicarci il nome di un altro artista a cui poter fare delle domande per conoscere il suo lavoro e la sua arte. Mauro, lei da chi ci vuole portare idealmente?
Skan, è uno street artist sardo, un amico e collega che fa un lavoro di scomposizione dell’immagine con grandi competenze nell’utilizzo delle bombolette nella pittura figurativa.
Artista interessantissimo.

Scopri il lavoro di Mauro Patta anche su Instagram e nel suo sito ufficiale.
Post a cura di: Laura Cappellazzo

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In questo blog non ti spiego la storia dell’arte, ma racconto le storie di cui parla l’arte