Nelle opere di Pablo Pinxit: arte urbana, poesia e sguardi sul mondo – STUDI D’ARTISTA

06/06/2025
Autore: Caterina Stringhetta
Tag: Interviste

Quando ho scoperto l’arte di Pablo Compagnucci, alias Pablo Pinxit, non sapevo che mi avrebbe aperto un nuovo mondo. Un mondo fatto di muri che parlano, di volti che sussurrano storie dimenticate, di fiori che spuntano nei luoghi più grigi.

Artista argentino ma cittadino del mondo, Pinxit dipinge con la forza di chi vuole portare bellezza dove non c’è, e poesia dove nessuno se l’aspetta.

Questa intervista, realizzata da Laura Cappellazzo, è un viaggio tra stencil, murales e riflessioni profonde alla scoperta di un’arte che non si limita a decorare, ma osa dire.

Pablo Pinxit art

STUDI D’ARTISTA

Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei

a cura di Laura Cappellazzo

Ho conosciuto l’arte di Pablo Compagnucci (alias Pablo Pinxit) solo recentemente, a inizio aprile per l’esattezza, quando a Milano, in occasione del Fuorisalone e della Milano Design Week, è stata inaugurata  l’installazione dell’opera di street art “Almas: voci di coraggio”, all’interno del Tunnel Reloed, nel multiculturale quartiere di Nolo.

L’opera promossa da Fondazione CESVI, racconta  la forza e il coraggio delle donne in contesti di povertà e violenza e l’impegno della Ong per favorire l’inclusione socioeconomica delle donne migranti venezuelane in Colombia.

Del coraggio delle donne in situazioni difficili mi occupo per lavoro da anni, ma di come l’arte possa esserne portavoce è per me un mondo nuovo tutto da esplorare. E il mondo, così come lo rappresenta il maestro Pinxit mi ha davvero catturata. È per questo che l’ho subito cercato per proporgli un’intervista, a cui con prontezza e generosità ha risposto.

Pablo Compagnucci è nato La Plata, Argentina, dove si si è laureato in architettura nel 1987. Si è  poi specializzato nel 1995 all’università di Architettura di Milano e ora vive tra Berlino e Milano, viaggiando moltissimo.

NELLO STUDIO DI PABLO PINXIT

Come prima domanda chiedo sempre com’è lo studio di un artista, nel suo caso invece il viaggio è il suo tema principale, elaborato e condensato attraverso stratificazioni visive. Si ritrova in questa descrizione?

Ho avuto la fortuna di viaggiare molto per tutto il mondo e frequentemente vado a riprendere nella mia memoria immagini di questi viaggi, ma non credo che il viaggio come ricerca sia la mia tematica principale. Credo che mi interessino piuttosto la città e i suoi conflitti, la sottile linea che divide il visibile dell’invisibile, l’arte e la storia dell’arte come intuizione di una possibilità di mondo, così come alcune figure che si presentano come costante del mio lavoro: l’idea di Angelo, il labirinto, il concetto di nulla …

Ho trovato molte altre definizioni su di di lei: architetto e filantropo, abile sognatore, stencil artist… Sono tutte vere? Lei come si definisce?

In realtà non mi piace definirmi in un modo …faccio tante cose alcune meglio delle altre. Penso che nell’arte sia importante conservare la curiosità che hanno i bambini, così come la passione che hanno per il gioco e la dimensione che hanno del tempo: un tempo senza tempo …

Mi piace l’architettura come conquista estetica del paesaggio. Mi piace che il mio lavoro possa essere di utilità o sollievo ad altri. Mi piace sognare però senza desiderare, mi piace curiosare in tutte le tecniche artistiche …

Lei infatti lavora sia su tela che su pareti attraverso la street art. C’entra il come, con ciò che vuole esprimere?

Sono due attività che per me sono abbastanza diverse. Il lavoro di studio è più intimo personale e il fruitore che va alle mostre secondo me guarda meno che chi transita la strada …Il lavoro urbano ha altre coordinate. Di solito lavoriamo in zona degradate e l’arte urbana secondo me deve portare bellezza, respiro e alcune  idee che facciano riflettere, che portino poesia. Un quadro si può sbagliare, un mural no perché condiziona la quotidianità della gente.

Come ci spiegherebbe la sua tecnica di pittura e il ricorrere di alcune figure (i volti, i fiori…)?

Se parliamo di arte urbana, la mia tecnica è un mix tra pittura tradizionale (spolvero, rulli, pennelli) con la tecnica della stencil Art.

Il tema dei volti mi interessa vedendo che le città sono tappezzate di volti di persone con poche qualità (modelle, sportivi, politici). Questa invasione l’ho voluto contrastare con una serie di personaggi noti che hanno fatto grande l’Italia e l’Europa, così sono nate a Brera le gallerie di serrande: di poeti e filosofi, le serrande del design, le serrande del cinema.

Per quanto riguarda i fiori, come dicevo prima, tento di portare colore e bellezza in ambiente degradati. Il fiore è una figura di accettazione generale, ma anche dei tanti possibili significati nella narrazione.

Pablo Pinxit opere

Ci sono sue opere che esondano di colore e altre che giocano con il bianco e il nero. Che significato ha per lei l’uso del colore?

Il mio lavoro è prevalentemente colorato. Uso il bianco e nero quando privilegio  di più l’aspetto concettuale che l’aspetto sensoriale, ma mi trovo bene lavorando con entrambi.

Posso chiederle di che colore vede il mondo in questo periodo?

Ho un amico daltonico e attraverso un’app sto sperimentando come vede il mondo lui.
Quando ho fatto mural in una scuola a Corsico, che aveva come tema il mondo delle api, mi sono incuriosito su come vedono i fiori le api.
Ma forse lei mi sta chiedendo un significato più metaforico… in quel caso bisognerebbe trovare il colore che rappresenta l’incertezza.

Ci racconta come l’attivismo sociale è entrato nel suo lavoro di artista?

In realtà non so se mi considero un attivista sociale. Credo che i miei lavori finiscono in mezzo alla gente e parte di quel lavoro parla di quello che vedo. Comunque sempre quando faccio un quadro o un pezzo urbano, il mio primo pensiero è di generare bellezza.

Che senso ha fare arte oggi?

Lo stesso che poteva avere nelle grotte di Lascaux: vedere e rappresentare il mondo attraverso uno sguardo diverso.
Mi piace e condivido una frase di Tarkovskij che dice che l’arte esiste  solo perché il mondo è organizzato male…

Solitamente concludiamo le interviste con una specie di gioco: chiediamo all’intervistato di indicarci il nome di un’altra o di un altro artista che in questo momento ritiene interessante, da osservare o scoprire, così poi lo andremo a intervistare. Come una specie di invito a entrare nello studio di un altro artista e lì, continuare la conversazione. Che nome ci propone?

Sceglierò il mio amico SMOE: un artista urbano con una tecnica molto pregiata e un eccellente rapporto con le grandi dimensioni.

Post a cura di: Laura Cappellazzo

Laura Cappellazzo

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