Il Cinema – Wim Wenders

IL CINEMA
Era da tanto tempo che volevo dare uno spazio anche alla settima arte, ovvero all’arte cinematografica.
Perché se è vero che sono una instancabile visitatrice di mostre d’arte e musei è altrettanto vero che adoro infilarmi nel primo cinema aperto per guardarmi un film e che non necessariamente deve essere “impegnato”, anzi amo molto anche i fil d’azione, quelli che “svuotano la mente” e che finiscono quando terminano le pallottole 🙂
In questo post, grazia alla collaborazione con St-ART, apro il mio personale “libro dei ricordi e delle emozioni” con l’approfondimento di un film che mi ha fatto sognare.
Wim Wenders (b. 1945), “Wings of Desire/Il cielo sopra Berlino” (1987).

Il_cielo_sopra_Berlino

Una penna verga su un foglio bianco parole recitate da una voce maschile fuori campo, questo costituisce l’incipit de “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders.
La poesia iniziale di Peter Handke, incentrata sulla condizione infantile e sullo sguardo semplice ed ingenuo con cui i bambini osservano il mondo che li circonda, è solo uno dei contributi di Handke al film.
Tutta la pellicola, intessuta dei dialoghi dello scrittore, si muove verso un cinema di poesia in cui la parola supera l’immagine, pur tuttavia fondendosi con essa in un connubio perfetto.
Come scenario dell’ambiziosa opera di Wenders, di ritorno nella sua nativa Germania dopo un periodo lavorativo negli Stati Uniti, una Berlino di metà anni ’80 in cui si muovono due angeli, Damiel e Cassiel: entità invisibili, tranne che ai bambini, i soli in grado di percepirli, che si aggirano per la città ascoltando e prendendo nota dei pensieri delle persone, fino a coglierne i tormenti più intimi.
Trascendentali e impercettibili, sono incapaci di interagire con i mortali, ma nel loro peregrinare in quel fluire incessante di voci interiori della gente, uno di essi troverà l’amore nella trapezista di un circo, arrivando a sacrificare la propria condizione spirituale per provare la tangibilità di una vita terrena.
Attraverso la scelta metafisica di inserire nella pellicola la figura degli angeli, lo spettatore arriva a scoprire Berlino sotto nuove prospettive.
I voli degli angeli che sorvolano la città e non conoscono limiti architettonici, permettono infatti al regista di sperimentare visuali particolari, dagli spazi chiusi di vecchi appartamenti berlinesi ai luoghi più aperti della città: la Colonna della Vittoria su cui i due angeli spesso si ritrovano ad osservare il mondo scorrere, la Biblioteca di Stato e ancora la Potsdamer Platz, un tempo piazza animata, ora terra desolata.
Quella che ci appare è difatti una Berlino grigia e devitalizzata, ben lontana dalla città viva che è oggi.
Sono i luoghi abbandonati quelli su cui Wenders pone l’attenzione, gli spazi spogli, le macerie lasciate dalla guerra e prive di restauri e i luoghi storici simbolo della città.
Prossima alla caduta del Muro e ad un cambiamento di notevole importanza, la Berlino ripresa dal regista sembra immobile, incapace di guardare al futuro, lacerata dalle scelte di un passato ancora presente e ben visibile in quella barriera eretta a dividere il popolo tedesco privato di una propria identità.

(Marina)

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Wim Wenders. Urban Solitude
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