Banksy e il Migrant Child a Venezia: un’opera da conservare o lasciar svanire?
L’hanno tagliato via come si fa con una muffa pericolosa con la scusa che dovevano salvarlo. L’opera Migrant Child di Banksy, apparsa a Venezia nel 2019, è stata rimossa dal muro di un palazzo a San Pantalon e rinchiusa in un caveau climatizzato, sotto l’occhio vigile di restauratori, tecnici e funzionari.
Tuttavia, io non riesco ad essere felice e non posso non farmi una domanda:
Siamo sicuri che sia giusto salvare Migrant Child di Banksy?
Il caso Banksy e il Migrant Child a Venezia

Un bambino, che rappresenta tutti i bambini in cerca di un futuro diverso.
Partiamo da qui: Migrant Child è molto più di un disegno su muro, perchè si tratta di un’opera pensata per essere fragile, esposta, soggetta alle maree veneziane, all’umidità, alla salsedine. Questo bambino, o forse sarebbe meglio dire migrante, tiene in mano quello che sembra un razzo di segnalazione rosa. Una richiesta di aiuto silenziosa ma visibile.
In realtà, se osserviamo bene, non si tratta di un fumogeno ma di sterpaglia o radici, che simboleggiano lo sradicamento dalla propria terra per tentare di costruire un futuro migliore.
Quando l’acqua si alza, per effetto della marea, il bambino sembra stia per annegare, chiedendo aiuto. Quando la marea si abbassa, il bambino sembra camminare miracolosamente sulla laguna. In ogni caso, lui ci guarda, ci interpella e ci disturba.
Quel bambino chiede la nostra attenzione proprio a Venezia, capitale turistica del mondo, dove migliaia di persone scattano selfie e sorseggiano spritz, spesso ignorando che, nelle stesse acque del Mediterraneo, la realtà annega.
Migrant Child: un’opera che doveva sparire
Banksy lo sapeva benissimo che quest’opera non era fatta a durare. Come molte delle sue opere, Banksy ha realizzato Migrant child perchè fosse effimera, destinata a scomparire, a farsi corrodere dal tempo e dalla salsedine. Credo che fosse proprio questo il messaggio: i bambini migranti chiedono aiuto, ci scuotono, ci indignano per un attimo, ma poi svaniscono dalla nostra coscienza con la stessa velocità con cui le onde cancellano un disegno sulla sabbia.
È la nostra memoria, più che l’intonaco, a essere fragile.
Quindi mi chiedo: che senso ha toglierla da lì con la scusa di salvarla?
Portarla via, restaurarla, conservarla in un caveau a temperatura controllata significa tradire la sua natura, renderla un oggetto da collezione, un trofeo da mostrare in galleria. Un’opera viva, pensata per essere in balìa del mondo, è diventata una reliquia intoccabile e a me, sinceramente, fa male.
Il salvataggio di Migrant Child è protezione o appropriazione?
Certo, qualcuno dirà: “Ma così salviamo un capolavoro!”
Salviamo cosa, esattamente?
Il pigmento? La parete? O il valore economico che nel frattempo è salito alle stelle?
Io ho come la sensazione che l’urgenza di proteggere quest’opera non sia motivata dal suo messaggio, ma dal suo marchio. È un Banksy, quindi vale. Se lo avesse disegnato uno street artist sconosciuto, sarebbe stato spazzato via dal primo restauro della facciata, senza alcun caveau climatizzato ad attenderlo.
Inoltre, se salviamo lei, perché non salviamo anche gli altri bambini, ovvero i migranti veri, quelli che il mare lo attraversano davvero? L’opera parlava proprio di loro, che non hanno restauratori, né caveau, né banche disposte a proteggerli e a spendere il denaro necessario per offrire quel futuro migliore che cercano, anche a costo della vita.
Se non lo sapevi, è proprio una banca, Banca Ifis, ad essere ora la proprietaria dell’opera, poichè nel 2024 ha acquistato Palazzo San Pantalon, su cui Banksy nel 2019 ha realizzato Migrant child. L’interesse per l’acquisto del palazzo è stato reso possibile grazie alla presenza dell’opera, che la banca sostiene di voler proteggere e valorizzare.
Il dubbio sorge spontaneo però. La nuova proprietà ha fatto un affare nell’acquistare il palazzo o l’opera incorporata e ora rimossa, ma che potrà essere esposta al pubblico pagante e che potrà essere concessa in prestito per mostre ed eventi?

Banksy non è un artista da salotto. Le sue opere non sono fatte per essere incorniciate, ma per metterci a disagio, per stare lì, nel mondo reale, con tutta la loro forza poetica e politica.
“Migrant Child” era un promemoria doloroso e ci ricordava che, mentre noi visitiamo le città d’arte c’è chi muore tentando di raggiungerle.
Ora quel promemoria è stato archiviato, reso inoffensivo e a me sembra che abbiamo perso qualcosa di importante. Inoltre non è più accessibile a tutti coloro che si recano a Venezia, ma forse lo sarà in futuro solo pagando il prezzo di un biglietto.
Chi vogliamo salvare, davvero?
Forse è questo il punto, salvare un’opera non significa necessariamente salvarne il significato.
Migrant Child doveva restare lì, a combattere con l’acqua, con il tempo e con la nostra coscienza. Doveva scomparire sotto gli occhi dei turisti, come scompaiono sotto i nostri occhi le tragedie di cui ci dimentichiamo troppo in fretta.
Con la scusa di proteggerla è stata uccisa ed è stato anestetizzato il messaggio di un capolavoro e allora … non è più un capolavoro ora ma una reliquia, oppure un trofeo da esibire.
Nel frattempo, fuori dal caveau, il mare continua a inghiottire storie che nessuno restaurerà mai.
E tu, che ne pensi? È giusto “salvare” un’opera pensata per svanire?
Scrivimi nei commenti: l’arte va conservata… o lasciata vivere e morire come tutto ciò che è umano?
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In questo blog non ti spiego la storia dell’arte, ma racconto le storie di cui parla l’arte