Nelle opere di Martalar: legno, land art e memoria delle montagne – STUDI D’ARTISTA
Ci sono interviste che partono in salita, come un sentiero di montagna. L’incontro con Martalar – alias Marco Martello – è stato così, ma è proprio il senso di smarrimento iniziale che ha permesso alla nostra Laura Cappellazzo di trovare le domande giuste.
Le opere monumentali in legno di Martalar, dal Drago Vaia alla Lupa del Lagorai, non sono solo sculture, ma sono insegnamenti di vita, richiami alla natura, gesti collettivi.
In questa intervista, realizzata tra emozione e gratitudine, scopriamo cosa significa creare con le mani, con il cuore e con l’eco del bosco.
Un passo alla volta, come nella precedente intervista a Giorgio Vazza, ci addentriamo in un’arte che lascia tracce vere.

STUDI D’ARTISTA
Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei
a cura di Laura Cappellazzo
Solitamente, prima di intervistare un artista mi documento su di lui: ne osservo le opere, il percorso artistico nel tempo, le note biografiche che, per la mia formazione e il mio approccio, sono fonte di informazioni importantissime. Cerco insomma di leggerne le tracce tra tutte quelle che l’artista-persona ha già lasciato di sé durante il suo operare, sia per essere più pertinente con le domande che gli proporrò, sia per tentare di approfondire aspetti che ancora non sono stati indagati. Questa preparazione poi, aiuta anche me, lo confesso, ad arrivare più sicura all’incontro.
Con Martalar (nome d’arte dell’artista di fama internazionale Marco Martello) mi è accaduto esattamente il contrario: più raccoglievo informazioni, più mi sentivo intimidita e inadatta. Sarà che le sue opere hanno per me un significato personale molto grande, sarà che i luoghi in cui sono inserite fanno parte della mia nuova storia famigliare, sarà che la filosofia della Land Art e della forma d’arte in cui poi Martalar l’ha sviluppata, è secondo me un qualcosa di talmente vero e profondo, da superare l’estetica e diventare insegnamento di vita… insomma sta di fatto che ad un certo punto volevo quasi quasi rinunciare.
Poi mi sono ricordata che Martalar si definisce “un montanaro autodidatta”, allora ho preso fiato e ho deciso di partire proprio da questa semplicità tipica dei montanari, una semplicità che è un pozzo di saggezza, mai superficialità. Ho immaginato di essere là, a passeggiare con Martalar a Vetriolo, in Valsugana, per ammirare la Lupa del Lagorai. Oppure a Strembo, nel parco cittadino per vedere il maestoso cavallo Halfiger, o a Mafrè, ad onorare il Drago Vaia Regeneration. E tra un passo e l’altro, nascono le domande e fluiscono le risposte.
NELLO STUDIO DI MARTALAR
Buongiorno Marco, e grazie di aver accettato di farsi conoscere un poco di più dai nostri lettori. La nostra rubrica si intitola “studi d’artista”. Ci può descrivere il suo? Sarà sicuramente particolare… me lo immagino più come un laboratorio, sbaglio?
Studi da artista è proprio la denominazione giusta perché il mio laboratorio è ovunque! Una decina di anni fa sono stato con mia figlia a un museo dove a un certo punto un enorme scheletro di dinosauro invadeva una stanza gigantesca, molto più grande del mio drago. Li mi dissi: “Devo fare un grande animale… ma prima devo costruire una robusta struttura che assomigli a queste enormi ossa.” Così ho iniziato e perfezionato via via la realizzazione delle mie opere. Osservare la natura è poi alla base di tutto, è la vera maestra.
Il legno ha fatto sempre parte della sua vita, anche mio papà faceva lavori di falegnameria e so che il legno è una materia viva. Va ascoltato. Ciò che si costruisce è il risultato di una sorta di dialogo tra l’uomo e la materia. Anche per lei è così?
Sì, il legno è materia vivente, che cambia continuamente, che profuma nel bosco e profuma a casa… non potrei utilizzare altro, fa parte di me.
Chissà cosa le raccontano le radici che raccoglie nei boschi, a volta a pochi metri da dove sorgerà la nuova opera… Ma la tecnica, dove l’ha appresa? Da qualcuno, magari in qualche laboratorio artigianale? Studiando per conto suo? Bisogna spiegare infatti che le sue opere nascondono un preciso progetto ingegneristico dentro di sé, che deve fare in modo che la creazione stia in piedi, per dirla banalmente.
Diciamo che è la curiosità, la voglia di trovare la soluzione a far in modo che un semplice disegno a matita si trasformi in qualcosa di vero: che puoi toccare, vedere, annusare. Io sono autodidatta di mio, fatico ad avere maestri. Nella vita ho fatto di tutto: il carpentiere, il giardiniere, il gruista, il venditore di libri, il disegnatore, e alla fine questo sapere mi ha permesso di poter creare e insegnarmi di costruire una opera. Ma quello che serve di più è la fantasia unita al saper osservare la natura.
Ci racconta il processo che ci porta ad ammirare una sua nuova creatura artistica, e quanto tempo passa tra l’idea e l’inaugurazione?
È molto lungo… dalle prime mail col committente, poi gli incontri, l’idea, il disegno, il progetto, i passaggi con i beni culturali, ambientali, paesaggistici, ingegneri e tecnici vari… Poi la costruzione, anche se ormai vado sicuro, ho una mia tecnica, alla fine servono anche 2 anni.

Martalar, Aquila di Vaia. Immagine tratta dalla pagina Facebook dell’artista
Ciò che affascina nelle sue creazioni è anche l’imponenza: ci fa sentire piccoli. Che è anche l’effetto che creano le montagne attorno e che per chi ama la natura, porta al rispetto di ciò che vediamo: sentirsi piccoli e ammirare la maestosità della natura per rispettarla, non per dominarla. Le sue opere ci stanno riuscendo? Riescono in qualche modo a mettere in discussione la prospettiva da turista “fagocitatore” a turista sostenibile?
Bella domanda… credo serva tempo, serve fare cultura. Spero che l’arte aiuti in questo. È un processo forse a livello generazionale. Per esempio una volta era comune vedere violette e stelle alpine nelle mani di turisti in montagna, ora non si vede quasi più, c’è stata una sensibilizzazione.
Il rogo del primo Drago Vaia è stato un evento che ha scosso molto l’opinione pubblica. Vederlo rinascere, certo più arrabbiato del primo, è stato un momento collettivo altrettanto significativo. Se l’aspettava che l’arte avesse questo potere? Di creare un senso di comunità e di appartenenza?
No al dire il vero un tale affetto non potevo immaginarlo. Il nuovo drago è rinato grazie a 3 mila donazioni di persone comuni che non accettavano quello che era successo.

Martalar, LUPA DEI LAGORAI. Immagine tratta dalla pagina Facebook dell’artista
Ora non posso che accennare al suo nuovo progetto quindi, che personalmente trovo geniale nel senso proprio del termine. Ci può spiegare cos’è “Echo In”?
È un idea in collaborazione con Lavarone Green Land, si tratta di un’opera che renda tutti partecipi, tutti possono mettere il suo, spero diventi una cosa che si espanda oltre alla mia arte .
Martalar, da quassù, dalle sue montagne, dalla sua prospettiva, da uno che ha attraversato la tempesta Vaia e ha toccato con mano cosa significa non rispettare un territorio e dover fare i conti con le conseguenze… secondo lei ce la faremo come esseri umani a migliorare il nostro rapporto con l’ambiente o è già troppo tardi?
Fin che siamo qui su questo pianeta, come esseri umani, non è mai troppo tardi. Noi non rispettando gli equilibri, non facciamo male al pianeta, facciamo male a noi stessi. Il pianeta può vivere senza di noi… noi non possiamo vivere senza di lui. Non sarà Marte a salvarci.
Di solito terminiamo le nostre interviste con una specie di gioco, una sorta di passaggio del testimone. Se idealmente potessimo andare nello studio di un altro artista per intervistarlo: lei da chi ci porterebbe?
Jago, io andrei da lui: ha fatto capire che l’arte, quella con le mani, non è morta, e non è morta nemmeno la figura.
Nella pagina di Martalar sul sito artsharing.org c’è la mappa che indica la posizione di tutte le sue opere.
Post a cura di: Laura Cappellazzo

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