Mario Stefano e l’arte che resiste all’immagine digitale – STUDI D’ARTISTA
In un’epoca in cui tutto corre — immagini, scroll, contenuti digitali — l’artista Mario Stefano sceglie la lentezza. La sua pittura non si mostra per intero sui social, non si fa catturare da uno schermo: si vive dal vivo, si respira da vicino.
In questa nuova intervista per Studi d’artista, Mario Stefano ci racconta il suo modo radicale e poetico di restituire valore alla materia, al gesto e alla presenza.
Un percorso controcorrente, che parla di educazione visiva, corpo dell’opera e verità del vedere.
Un approccio che, per certi versi, dialoga idealmente con le opere di Mauro Patta, che è stato il protagonista della precedente intervista.

STUDI D’ARTISTA
Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei
a cura di Giuseppina Irene Groccia
Nel panorama contemporaneo, saturo di immagini istantanee e di contenuti digitali che scorrono senza lasciare traccia, la pittura di Mario Stefano si impone come un atto di resistenza poetica. La sua è una ricerca che restituisce all’arte il valore della materia, del gesto e della presenza fisica, in un’epoca in cui il contatto diretto con l’opera sembra farsi sempre più raro.
Negli ultimi anni l’artista ha scelto di non pubblicare più integralmente le proprie opere sul web, condividendone al massimo dei dettagli. Una decisione che nasce da una riflessione profonda sul senso del vedere e sull’esperienza autentica che solo l’incontro dal vivo con la pittura può offrire. «Un’opera pittorica fatta a mano — racconta — non è solo immagine, ma corpo vivo, tempo sedimentato e gesto incarnato».
Questa idea di pittura come corpo e presenza attraversa tutta la sua ricerca, che si muove con rigore tra linguaggi differenti — dal Rinascimento al Pop, da Picasso al fumetto — per creare un linguaggio personale, capace di fondere memoria, esperienza e innovazione. Le sue tele diventano stratificazioni di segni, correzioni, pause e decisioni, dove ogni colore è pensiero e ogni forma è tempo che si fa materia.
Per Mario Stefano, dipingere significa rieducare lo sguardo, restituire al pubblico la possibilità di fermarsi, di percepire la vibrazione del colore e la fisicità del segno. Non a caso, nelle sue parole, emerge con forza l’urgenza di una nuova educazione visiva, capace di riportare lo spettatore al contatto diretto con l’opera, al di là dello schermo e dell’immagine riprodotta.
Nella seguente intervista, l’artista racconta la propria visione del fare pittorico, il ruolo dell’autenticità nell’arte e le sfide di una comunicazione dominata dal digitale. Le sue riflessioni ci invitano a riscoprire la pittura come esperienza viva, come gesto che resiste all’effimero e custodisce, ancora oggi, la verità del vedere.
NELLO STUDIO DI MARIO STEFANO
Mario, partiamo da qui: che cos’è, per te, un’opera pittorica fatta a mano?
Un’opera pittorica fatta a mano non è solo il risultato di una composizione riuscita, ma è anche tempo sedimentato, presenza fisica e intenzione incarnata nel gesto. Per l’artista, dunque, il dipinto non è solo immagine, ma corpo vivo. Un corpo che porta con sé stratificazioni, correzioni, pause e decisioni.
Viviamo in un’epoca in cui le immagini sono ovunque. Qual è allora la differenza che una pittura può ancora offrire?
In un’epoca di immagini ovunque, è la materia a fare la differenza. Il segno, il pigmento, la superficie lavorata diventano un atto di resistenza e di autenticità. L’autenticità è la parola chiave. Non basta che un’immagine sia bella: perché un’opera sia viva deve restituire al pubblico il gesto, la vibrazione del colore, la presenza dell’artista.
Eppure, non sempre questa differenza viene percepita. Perché, secondo te?
La differenza tra un’immagine “bella” e un’opera d’arte “viva” non è sempre evidente a chi non ha esperienza diretta con la pittura vera. Molti non hanno mai osservato da vicino una tela, la stratificazione del colore, l’odore dei materiali, la vibrazione sottile del segno. Un’osservazione che porta a un altro tema cruciale: il ruolo dell’educazione visiva.
Cosa pensi si possa fare per colmare questa distanza con il pubblico?
Credo che, oggi più che mai, servano luoghi e momenti di educazione visiva. Occasioni in cui il pubblico possa tornare a guardare davvero. Non si tratta solo di mostre, ma di esperienze che mettano in contatto diretto con la materia: laboratori, studi aperti, incontri che restituiscano la fisicità dell’opera.
E qual è, in definitiva, il ruolo della pittura oggi?
La vera arte — quella che ha un corpo, un respiro, un gesto — sta tornando a essere un bisogno profondo per chi sa vedere. Un bisogno che cresce proprio mentre l’immagine digitale domina.
Ultima domanda… come incide la comunicazione digitale sull’arte contemporanea?
Oggi c’è una sovraesposizione che spesso svuota il significato delle immagini: le opere diventano “contenuto”, e il loro valore viene ridotto a quanto engagement generano. Il rischio è che l’opera venga ridotta a immagine, e l’immagine a contenuto.
Scopri il lavoro di Mario Stefano anche su Instagram e nel suo sito ufficiale.

Post a cura di: Giuseppina Irene Groccia @l’Arte Che Mi Piace
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In questo blog non ti spiego la storia dell’arte, ma racconto le storie di cui parla l’arte