Nelle opere di Emilia Cotza: ritratti, emozioni e una rinascita – STUDI D’ARTISTA

01/08/2025
Autore: Caterina Stringhetta
Tag: Interviste

Oggi Studi d’artista ci porta lontano dalle rotte turistiche. Dopo aver conosciuto Valerio Zezur e le sue opere, oggi andiamo nel cuore più autentico della Sardegna, per incontrare Emilia Cotza, pittrice autodidatta che ha trasformato un angolo del suo soggiorno in un luogo di verità e bellezza.

La sua storia è fatta di passione tenace, di maternità e rinascita, di sguardi rubati e volti che raccontano fragilità e dignità.
Dipingere, per Emilia, è un modo per dare voce a ciò che le parole non dicono: è gesto d’amore, di ascolto, di libertà.

Entriamo con delicatezza nel suo mondo, fatto di luce, silenzio e attenzione.

Emilia Cotza epilepsy

Emilia Cotza, epilepsy

STUDI D’ARTISTA

Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei

a cura di Laura Cappellazzo

Per andare a incontrare l’artista di oggi, dobbiamo viaggiare fino in Sardegna. Ma non la Sardegna delle spiagge turistiche, dei villaggi vacanza o delle feste esclusive. Una parte di Sardegna più intima, genuina, nascosta eppure altrettanto piena di fascino e di vita.

Andremo nella Sardegna dei nuraghi millenari, della parlata stretta, dei monti aspri e selvaggi, dei corsi d’acqua dai nomi poetici come il Flumendosa, dei lecci, lentischi, corbezzoli e aranci radicati alla terra, delle aquile, falchi e sparvieri che solcano fieri il cielo.

Emilia Cotza è nata a Villasalto e vive a San Vito, in provincia di Cagliari. Usa la pittura ad olio per disegnare ciò che vede e colpisce la sua curiosità, e oggi ci ospita nel suo studio regalandoci un po’ del suo mondo.

NELLO STUDIO DI EMILIA COTZA

Buongiorno Emilia e davvero grazie per averci ospitato nel suo studio. Partiamo pro-prio da qui: la nostra rubrica si intitola “studi d’artista”, ci può descrivere il suo luogo di lavoro?

Buongiorno a voi e grazie per l’intervista. Il luogo in cui dipingo non è un vero e proprio studio, ma un angolo speciale che ho ricavato all’interno del mio soggiorno. È lì che la mia poltrona e il cavalletto mi attendono ogni giorno, come due compagni silenziosi pronti ad accogliere la mia ispirazione. Non servono grandi spazi: bastano la luce giusta, i miei colori, e quel senso di quiete che trasforma quel piccolo angolo in un mondo tutto mio.

Sappiamo che il suo amore per la pittura è sbocciato alle medie, ma che per vicissi-tudini personali non ha potuto formarsi in una scuola d’arte. Come è riuscita a porta-re avanti questa sua passione?

Nonostante non abbia avuto l’opportunità di frequentare una scuola d’arte, la mia passione è sempre stata più forte di qualsiasi ostacolo. Non mi sono mai arresa. Grazie al sostegno e all’incoraggiamento dei miei familiari, prima di tutto i miei genitori e in seguito mio marito, ho continuato a sperimentare, a studiare da autodidatta e a coltivare ogni giorno questo amore profondo per la pittura che non mi ha mai abbandonata. Nel mio percorso ci sono stati anche periodi di lunghe pause, durante i quali ho rivolto la mia creatività verso altre forme d’arte, come il restauro di mobili antichi e l’impagliatura con la paglia di Vienna. Ogni esperienza ha arricchito il mio sguardo e la mia sensibilità, contribuendo a definire ciò che sono oggi come artista.

Mi pare che Betty Edwards abbia avuto una forte influenza su di lei. Il suo metodo si basa sul “disegnare ciò che vediamo e non ciò che crediamo di vedere”: quanto vale per lei questa frase?

Sì, Betty Edwards ha rappresentato per me una vera svolta. È stata mia sorella a regalarmi il suo libro, e quel gesto ha segnato l’inizio di un cambiamento profondo nel mio modo di vedere e disegnare. Prima di allora non avevo mai disegnato un volto, o almeno non con consapevolezza. Il metodo della Edwards mi ha insegnato a mettere da parte ciò che credevo di vedere, per iniziare davvero a osservare. La frase “disegnare ciò che vediamo e non ciò che crediamo di vedere” è diventata per me un punto fermo: mi ha guidato nel passaggio da una visione intuitiva a una visione attenta e analitica, che ha trasformato completamente il mio approccio al disegno e, più avanti, anche alla pittura.

Quindi per lei la pittura è rappresentazione?

Per me la pittura è la rappresentazione di ciò che vediamo, ma anche e forse soprattutto, di ciò che non vediamo: le emozioni, l’empatia, la compassione. Ogni pennellata può raccontare non solo la realtà visibile, ma anche quella interiore, fatta di sensazioni, ricordi e stati d’animo. È questo intreccio tra il visibile e l’invisibile che rende l’arte così potente e umana.

E cosa la attrae di più? La natura? L’umanità? Il dettaglio?

Sono attratta da tutto ciò che racconta una storia, ma se devo scegliere, direi che sono profondamente affascinata dall’umanità e dai dettagli che la rivelano. Uno sguardo, una piega del volto, la luce su una mano: in questi piccoli particolari si nascondono emozioni immense. Allo stesso tempo, la natura mi incanta per la sua bellezza silenziosa e armoniosa. Che si tratti di un volto o di un paesaggio, ciò che mi guida è sempre il desiderio di andare oltre la superficie, di cogliere l’essenza, quella verità nascosta che solo l’arte sa svelare.

Emilia Cotza Penisola del Sinis

Emilia Cotza, Penisola del Sinis

Ci sono degli artisti a cui lei si è ispirata?

Nel mio percorso ho guardato a diversi artisti come fonte di ispirazione. Tra questi, il pit-tore russo Vladimir Volegov, con la sua straordinaria sensibilità per la figura femminile e la luce, e l’italiano Maximilian Ciccone, per la forza espressiva dei suoi ritratti e la cura minuziosa del dettaglio. Osservare il loro lavoro mi ha aiutato a crescere, a sperimentare nuove tecniche e a cercare la mia voce artistica.

Il suo percorso ha avuto delle tappe importanti: il 2015 per esempio, è stato l’anno della rinascita. Ce ne vuole parlare?

Il 2015 è stato per me l’anno della rinascita. Dopo quasi vent’anni in cui il desiderio di dipingere era sempre presente ma non trovava spazio nella pratica, qualcosa è cambiato. In quegli anni avevo vissuto esperienze importanti come il lavoro da impiegata e soprattutto, la maternità, momenti che mi hanno arricchita interiormente. Poi quasi all’improvviso, tutto è ripartito, ma con una marcia in più: più consapevolezza, più profondità, più urgenza espressiva. La pittura è tornata nella mia vita come un bisogno naturale, quasi inevitabile.

E di “Valeria”, cosa ci dice?

Ho dipinto Valeria quasi per gioco, su sua stessa richiesta. A dire il vero, inizialmente non ero del tutto convinta: non pensavo che avrei realizzato un dipinto di quel genere. Ma una volta iniziato, qualcosa è cambiato. Quel volto, quel corpo, quella posa semplice e naturale mi hanno subito catturata. Non era solo un ritratto, era una personalità che prendeva forma sulla tela. La posa, apparentemente rubata ma in realtà attentamente composta, unita all’assenza di sfondi o ornamenti, riportava l’attenzione su ciò che più conta: la persona. Il corpo è mostrato senza pudore, ma anche senza ostentazione, solo rispetto, dignità e libertà. Forse è proprio questa autenticità che ha colpito anche chi l’ha vista: Valeria è diventato uno dei miei ritratti più apprezzati sui social, salendo rapidamente in vetta alle preferenze dei miei followers.

Sono passati degli anni da quel dipinto: adesso com’è il suo operare? Ci sono state altre svolte o eventi significativi?

Sono passati alcuni anni da quando ho dipinto Valeria, e da allora il mio modo di operare si è evoluto profondamente. Ogni opera realizzata in questo tempo mi ha insegnato qualcosa: ho affinato la tecnica, ma soprattutto ho imparato ad ascoltare con maggiore profondità ciò che i soggetti mi trasmettono. Col tempo, la pittura è diventata per me anche un mezzo per dare voce a storie silenziose, per raccontare emozioni e vissuti che spesso restano nascosti. Nei miei lavori ho affrontato temi come l’Alzheimer, l’endometriosi, l’epilessia, la malinconia, la disperazione, e la violenza sulle donne, argomenti delicati, che meritano attenzione, rispetto e umanità. Attraverso il volto, lo sguardo, un gesto, cerco di restituire dignità e presenza a chi vive queste realtà. Pur rimanendo fedele al mio stile realistico, sento di spingermi sempre più verso l’invisibile: verso ciò che parla al cuore e alla coscienza. Ogni dipinto è una tappa del mio percorso, un ponte tra la bellezza visibile e quella nascosta, fatta di forza, fragilità e verità.

Emilia Cotza Valeria ritratto

Emilia Cotza, Valeria -ritratto

Cosa significa oggi, per lei, dipingere?

Per me dipingere è un modo per esistere pienamente. È il mio linguaggio più autentico, quello che mi permette di esprimere ciò che con le parole spesso resta intrappolato. Quando dipingo, il tempo si ferma, la mente si libera e l’anima prende voce. Attraverso la pittura osservo, ascolto, comprendo me stessa, gli altri, la vita.  Dipingere è anche un atto di cura: nei confronti delle emozioni, delle fragilità, delle storie che meritano di essere raccontate. È libertà, è introspezione, è passione che non mi ha mai abbandonata, nemmeno nei lunghi momenti in cui l’ho messa da parte. In fondo, dipingere per me è vivere!

Le sue opere si possono ammirare anche nel profilo Instagram di Emilia Cotza.

Post a cura di: Laura Cappellazzo

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