Identità, tecnica e visioni urbane nelle opere di Kevin Niggeler – STUDI D’ARTISTA

15/08/2025
Autore: Caterina Stringhetta
Tag: Interviste

Per incontrare Kevin Niggeler, ci spostiamo a Milano Certosa, tra cemento, parchi e pareti che raccontano storie, anche se il suo lavoro va ben oltre ed è un ponte tra mondi, tecniche e identità.

Nato da madre messicana e padre svizzero-tedesco, Kevin attraversa l’arte come si attraversa la vita: mescolando colori, culture, esperienze e domande. Pittura a olio, incisione, illustrazione digitale … ogni mezzo è un modo per esplorare sé stesso e il contesto che lo circonda.

In questa intervista ci apre le porte del suo studio e del suo percorso complesso, fluido e mai incasellabile. Un invito a guardare oltre il bianco e il nero.

Kevin Niggeler artist

STUDI D’ARTISTA

Viaggio in Italia alla scoperta degli artisti contemporanei

a cura di Laura Cappellazzo

Per conoscere Kevin Niggeler, torniamo a Milano. Ma questa volta non entreremo subito in uno studio d’artista e non passeremo per il frenetico e luccicante centro città. Piuttosto procederemo fino Milano Certosa, quartiere a nord di City Life, e ci addentreremo per il piccolo parco Damiano Malabaila. In questo giardino si trova infatti un murale di 6 metri per 6 intitolato Libertas, opera pubblica realizzata con il progetto SUM (Salvaguardia Urbana Milano). Un autore lo conosciamo già, è l’artista SMOE che ci ha raccontato in modo affascinante il suo caleidoscopico lavoro artistico. Il secondo è Kevin Niggeler, che conosceremo oggi, passeggiando per il parco.

NELLO STUDIO DI KEVIN NIGGELER

Buongiorno Niggeler e grazie per averci voluto incontrare. Lei vive e lavora qui a Milano giusto? Quando ha deciso di venire qui?

Qui a Milano sono arrivato dopo essere stato un anno in Inghilterra, esperienza che feci dopo il liceo. Ormai vivo e lavoro a Milano da 12 anni con alcuni interruzioni nel mezzo, pause in cui ho vissuto in Sud America, per la precisione in Messico. Lì ho avuto la possibilità di sviluppare alcuni progetti artistici come una residenza a Oaxaca in collaborazione con la galleria Solida ma anche progetti murali in Città del Messico.

Ha un suo studio dove progetta e crea i suoi lavori? Ce lo può descrivere?

Sì, qui a Milano posseggo uno studio in via Venosa, condiviso con un altro Artista, Antonio Colomboni. È uno spazio più o meno di 55 m² dove ho modo di poter lavorare ai miei progetti personali che sviluppo attraverso tecniche tradizionali come la pittura d’olio, l’incisione calcografica e altre tecniche con incisione su pietra.

Le confesso che mentre cercavo informazioni su di lei per preparare l’intervista, ho faticato a inquadrarla in un genere specifico e infatti poi ho deciso di rinunciare e di farmelo raccontare direttamente da lei. Ci descrive quali sono stati i suoi passi nel mondo dell’arte? Da dove ha iniziato e dov’è diretto ora?

Questa difficoltà è plausibile, da un lato perché mantengo uno stile per i lavori commerciali che vengono realizzati digitalmente per il mondo dell’editoria e della pubblicità, e per questo lavoro c’è un profilo specificatamente dedicato su Instagram. La mia strada personale invece corre più verso le tecniche tradizionali come la pittura d’olio. Quella commerciale mostra un cromatismo netto e piatto, molto pulito, a differenza invece dei lavori su tela che seguono solamente una ricerca personale, senza alcun fine economico.

Essendo io figlio di padre svizzero tedesco e di madre messicana la mia ricerca ha sempre avuto un particolare interesse verso il tema dell’identità e della differenza culturale non solo al di fuori dei confini nazionali ma anche al loro interno. Questo è il motivo per cui l’ultima mostra che ho realizzato presso la galleria Alessandro Bagnai, a Firenze, l’istallazione era basata su una serie di maschere dipinte ad olio, accompagnate sullo sfondo da una tela di 1,60 m per 2 m che simulava le quinte di uno spettacolo in cui gli attori si preparavano per entrare in scena. Tutto ciò rappresenta ovviamente una metafora legata all’identità, a chi siamo in rapporto al contesto in cui ci troviamo e come evolviamo una volta che anche esso cambia.

Inizialmente comunque ero unicamente focalizzato sul mondo dell’editoria, avendo studiato illustrazione: nonostante ciò ho sempre avuto il sogno di poter sviluppare e lavorare attraverso progetti personali e da tre anni a questa parte ho provato a mettere poco alla volta un piede nel mondo dell’arte riuscendo a esibire i miei lavori qua a Milano alla Fabbrica del Vapore, a Firenze come citato sopra e anche i Messico. Sicuramente sono grato al mio gallerista, Pietro Bagnai, che ha creduto nel mio lavoro e che tuttora crede alla qualità di ciò che produco. Non so dove andrò, ma non è importante poiché per me la meta non conta purché possa continuare a fare quello che mi fa sentire completo, e nella creazione di quelle che sono opere personali quello che conta è più il percorso che è la meta.

Kevin Niggeler maschera

Sul suo sito ufficiale, prevalgono opere dai colori accesi, decisi e incisivi tanto nell’estetica che nei messaggi che veicolano. Ci può spiegare la scelta di quelle immagini e la tecnica che ha usato?

Il mio sito personale è unicamente realizzato per i lavori legati al mondo editoriale, pertanto la maggior parte di esse sono prodotti commerciali, commissionati da direttori artistici di alcune delle riviste e testate giornalistiche italiane più conosciute, ma rimangono pur sempre dei lavori eseguiti. In futuro realizzerò un sito per i miei lavori personali, ben diversi da quelli che lei ha visto ora. Quelle sono immagini digitali realizzate con Photoshop disegnando con la tavoletta, e i colori scelti sono tali perché prediligo colori accesi e vivaci, tipici della cultura latino-americana a cui io faccio molto riferimento anche nei lavori commerciali.

Mi incuriosisce molto la sua virata, mi sembra recente tra l’altro, verso il bianco e nero attraverso le tecniche dell’acquaforte e dell’acquatinta. Ci può spiegare questo percorso, le motivazioni e gli obiettivi che stanno dietro a questa scelta stilistica?

Il bianco e nero è inevitabilmente la conseguenza di una tecnica tradizionale di stampa che non permette l’utilizzo di altri colori, o meglio sì ma è molto complesso e per tradizione l’acquaforte come anche l’acquatinta sono in bianco e nero, e questo lo possiamo vedere infatti anche attraverso le opere di Goya, Rembrandt e anche di Dürer. Ho iniziato questo percorso perché mi affascinava come tecnica e durante l’università ho avuto la fortuna di incontrare Pilar Dominguez, un artista incisore cilena di grande qualità, che è stata mia professoressa per tre anni. Dopo la conclusione degli studi ho deciso di continuare a collaborare con lei andando settimanalmente nel suo laboratorio dove ognuno lavora sulle proprie opere, supportandoci però nelle questioni tecniche e anche confrontandoci in generale. Questa non è una scelta stilistica poiché la tecnica non definisce lo stile, definisce solo il mezzo con cui si realizza un’opera, e sicuramente a volte il mezzo può anche influire su come viene realizzata un’opera ma difficilmente definisce uno stile.

Ha avuto dei maestri o delle figure artistiche che l’hanno ispirata o che sono tuttora d’ispirazione?

Come autodidatta nel mio percorso artistico i maestri che ho scelto durante gli anni passati sono stati sicuramente Kupka, Klimt, Mathis e Segantini. Ci sono molti altri maestri che studio e da cui traggo ispirazione, ma se dovessi elencarli tutti sarebbe ben complicato, soprattutto quelli messicani, poco conosciuti qui in Italia.

Kevin Niggeler artista

Il tema sociale però rimane un tratto comune alle sue opere, è corretto?

Parto dall’idea che tutto è politico, tutto è sociale. I miei lavori ovviamente si rifanno per la maggior parte a esperienze e vissuti personali. Cercare di lavorare sul sociale è molto complesso, la realtà non è bianca o nera e possiede sempre diverse sfumature.

L’arte del popolo, come Rivera, Orozco e Siqueiros, è un linguaggio che è già stato affrontato, e non per forza questo è un problema, ma non sento che esso mi appartiene, anzi credo sia quasi una chiamata il voler affrontare qualcosa che è al di fuori della nostra diretta esperienza.

Quando si parla di qualcosa che non conosciamo bene e che non abbiamo vissuto, l’errore è dietro l’angolo e io non sono qui per prendere parti e per puntare il dito, perché io stesso non sono bianco e nero, ma sono un insieme di sfumature che mi rendono buono e cattivo, giusto e ingiusto, bello e brutto: dipende sempre dal contesto in cui ci si trova, e questo rispecchia come ho detto prima la mia ricerca personale.

Mi è successo nella vita di trovarmi in contesti che trattassero temi sociali ma che fossero corrotti quanto coloro che questi stessi contesti criticavano e giudicavano, io mi limito solamente a mostrare ciò che vedo e che sento e se esprime un’opinione e un giudizio sarà sempre su una azione e mai sull’essenza di qualcosa o di una persona, poiché come ho già detto non siamo solo una cosa, non siamo bianchi o neri ma siamo un intero spettro di colori.

Per lei quindi, che senso ha fare arte oggi?

Secondo me non bisogna chiedersi il senso… se no potremmo anche chiederci “che senso ha la vita?”. Ha senso nel momento in cui è qualcosa che desideriamo e ci fa star bene, e se le opere conterranno quella profonda passione e desiderio di cui parlo, la bellezza che conterranno le opere, prodotte col cuore, sicuramente colpiranno qualcuno e regaleranno magari un momento di riflessione o anche semplicemente di pace. Veramente, l’unica cosa importante è fare bene ciò che ci piace e tutto il resto verrà da sé. Se qualcosa è vero arriverà agli altri cuori.

Se adesso passeggiando, avessimo la possibilità di andare a visitare insieme un artista: da chi ci accompagnerebbe?

Se dovessimo andare a visitare lo studio di un altro artista vi accompagnerei nello studio di Corrado Panza e Jem Perrucchini, un duo di artisti molto bravi e che conosco bene. Andiamo?

Post a cura di: Laura Cappellazzo

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